domenica 14 novembre 2010

A Volte Penso al Suicidio

« Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano, e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine ».  
La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: lo trovarono sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.
Al dottor Gachet, che non poté estrargli il proiettile e si limitò a fasciarlo, esprimendogli, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, spiegò che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto riprovarci.
«Volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca ». 
Rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto.    
  
Al fratello Théo confidò: «La mia tristezza non avrà mai fine».
«Ora vorrei ritornare».
Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì verso l' una e mezza di notte del 29 luglio.
In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».
In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers.
Pochi mesi dopo anche Théo Van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali.
Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. 
Le sue spoglie furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.
[ Elementi di Biografia tratti da Wikipedia
  

Per definizione il Suicida è colui che si procura volontariamente e con consapevolezza la Morte, ma non per questo è corretto dire che il Suicida non voglia Vivere. Anzi, è probabilmente il Suicidio il massimo segno di questa Volontà. 

Se il suicida scelglie la Morte, è forse Non in alternativa al Vivere, ma al vivere “questa” Vita.
Vorrebbe, probabilmente, Vivere una Vita diversa dalla propria, una vita forse priva di Inutile Sofferenza, priva di Tedium Vitae, priva di Noia, intesa come quel momento di “vuoto”, quel momento secco, pieno di Consapevolezza, fra uno stato di Felicità, che è fallace, e uno stato di Sofferenza stessa. 
Il Suicidio non è quindi da intende come unico metodo di Liberazione da qualcosa di Inutile e Doloroso, a cui non si riesce diversamente a trovar rimedio?
Si, ma Egoista.
 
Ammettendo che il Suicida non voglia Vivere “questa” Vita, perché davvero non ha nulla che la renda piacevole, non si può dire che egli non abbia, quindi, nulla da perdere? 
Non avendo nulla da perdere, potrebbe quell’ uomo sacrificarsi e vivere quella vita, non piacevole per se, e contribuire a rendere piacevoli le vite altrui?
Arthur Schopenhauer diceva che l’ uomo, così come può rendersi cosciente della propria sofferenza, ha la capacità di rendersi cosciente della sofferenza altrui. Potrebbe quell’ uomo, per altruismo, quindi, sacrificarsi e vivere nella sofferenza, tentando però d’ Alleviare con compassione la Sofferenza Altrui.
 
Se Schopenhauer, tuttavia, rigettava il Suicidio, non era tanto per il lato Egoistico dell’ Atto, quanto perché ritenuto praticamente Inutile a liberarsi dalla Sofferenza. Era convinto che la sofferenza impregnasse ogni tipo d’ essere, in quanto diretta conseguenza di una Innata Volontà, anch’ essa presente in modo innato in ogni tipo d’ essere, a prescindere dal suo grado di Coscienza.  
In poche parole, il Volere è sintomo del Non Avere, ed il Non Avere è causa di Sofferenza. Il Suicida, quindi, uccidendosi, avrebbe soppresso se stesso come Individuo, ma non se stesso come Volontà, e quindi non la Sofferenza.                                                                                                                 
Poiché  la Volontà di vivere, che è un desiderio perennemente inappagato e sempre rinnovantesi, si manifesta in tutte le cose sotto forma di un desiderio inappagato, il dolore non riguarda soltanto l'uomo, ma investe ogni creatura. Tutto soffre: dal fiore che appassisce per mancanza d'acqua all'animale ferito, dal bimbo che nasce al vecchio che muore. E se l'uomo soffre di più rispetto alle altre creature, è semplicemente perché egli, avendo maggior consapevolezza, è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà, e a patire maggiormente l'insoddisfazione del desiderio e le offese dei mali." 

Quindi, premettendo che all’ uomo viene attribuito il massimo grado di Coscienza della propria Volontà, e quindi il massimo grado di Coscienza della propria Sofferenza, si può dire che il Suicida, uccidendosi, non aandrebbe a sopprimere la propria Sofferenza, ma, sopprimendo se stesso come Individuo, andrebbe a sopprimere, quindi, solo la Coscienza della propria Sofferenza.
E non è forse questo a cui mira il suicida? Ciò che della Sofferenza lo spinge al suicidio, non è forse il Sentirla? Non è forse l’ esserne Cosciente?                                                                                                                                                                                                           
 Per la stessa ragione, il Genio, avendo maggiore sensibilità rispetto agli uomini comuni, è votato ad una maggior sofferenza:  "Chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore; più “intelligenza” avrai, più soffrirai".

Senza Senso, solo Riflessione... 

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